Il discorso che voglio affrontare è un discorso prettamente estetico,
investe cioè i modi di esperire le forme e di percepire il bello e l'armonico
nell'uomo. A me interessa l'uomo e la relazione che instaura tra sé e ciò che
lo circonda. Queste riflessioni fanno riferimento alle sensazioni di
piacevolezza, familiarità ed equilibrio, non verità, unità e fine. Non si situa
quindi ad un livello ontologico, piano per il quale anche il brutto e il
difforme sono elementi che hanno il diritto di esistere e che non sconvolgono
nessuno. Quando l'uomo ricopre di cemento tutta una valle e la riempie di
ciminiere soffocanti nessun Dio nell'alto dei cieli si scandalizza e grida al
misfatto, nessuna Legge dell'universo viene infranta, così come nessuna Legge
naturale venne violata quando gli abitanti dell'isola di Pasqua eliminarono
incoscientemente l'ultimo albero dal terreno dell'isola o come quando i virus
distruggono l'organismo stesso da cui traggono sostentamento. Il piano estetico
sul quale si muovono queste riflessioni ha un suo particolare baricentro, che è
l'uomo e la sua fondamentale costituzione, sia psichica che biologica. Ripeto:
nessuna regola ha l'universo per la quale esiste un meglio e un peggio, ma
l'uomo, così come è stato fatto dall'evoluzione, è e continua a farsi, ce l'ha
e con essa deve pur fare i conti. Se dunque Dio non si scandalizza più dei
misfatti estetici dell'uomo, io in quanto uomo, continuo a scandalizzarmi e a
indignarmi. Ma il terreno è arduo e complicato perché se l'ontologia esce dalla
porta principale eccola rientrare dalla finestra. La mia tanto amata estetica
infatti, certa di poterne fare a meno, se la rivede con stupore spuntare da
sotto il tavolo. Non più l'ontologia della realtà, ma quella dell'uomo. Per
capire infatti se esistono regole da infrangere all'interno dell'uomo bisogna
definire l'uomo e le sue regole! Cara ontologia... non ci libereremo mai di te?
Forse no, ma in fin dei conti che importanza ha? D'altronde non stiamo più
parlando di un'ontologia delle forme assolute, ma instabili e cangianti,che è
come dire che l'ontologia non esiste più nella sua accezione classica. Ora
siamo di fronte ad un'ontologia con la o minuscola, sempre pronta a chianare il
capo al cambiamento e alla mutevolezza delle forme. Essa d'altronde, sotto
queste sembianze, sopravvive e sopravviverà forse per sempre, perché senza
forme tout court è impossibile
pensare.
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