martedì 4 ottobre 2011

La Natura con la N maiuscola nel microcosmo di un giardino

Per trovare la Natura selvaggia, aspra e terrorizzante non è necessario andare in Africa o in Amazzonia. Molto più semplicemente basta rimettere a posto un giardino da tempo abbandonato. O dedicarsi alla ripulitura di un terreno agricolo riconquistato dalle piante e dagli insetti. Dietro i sassi puoi trovare le vipere, dentro gli interstizi di un fabbricato troverai sicuramente famiglie di scorpioni, nelle fenditure dei gelsi qualche nido di calabrone, vespai in ogni dove sui caseggiati e ragni mostruosi, benché di piccole dimensioni, nei prati alti. Per non parlare dei muri di rovi che si ergono insormontabili e inavvicinabili, delle zecche che cadono dagli alberi e molto altro ancora. Il fatto interessante per chi è chiamato a questa impresa è il senso di pericolo che si prova nel muoversi e lavorare in questo ambiente e la voglia ancestrale che prende di ripulire, bruciare, spianare, rendere umano il tutto. L'uomo che è chiamato a intervenire sull'ambiente cerca di eliminare ogni altra presenza che non sia la sua e della sua famiglia e ridurre con ansia, forse eccessiva (ma meglio abbondare), tutti i pericoli possibili. Quello che l'uomo compie in campagna è un gesto di desertificazione dell'Altro, Altro ovviamente inteso in senso generico. Può rimanere sul suolo di competenza solo ciò che è utile, come per esempio la vite che sale sui tralicci, gli  alberi da frutto, gli animali domestici. Le altre piante, capitozzate e private della loro spontaneità, possono svolgere varie altre  funzioni: delimitare, abbellire, occludere la vista, rendere legna per il fuoco... Per gli animali vale lo stesso concetto: ci sono animali da compagnia, da produzione alimentare, da fatica... l'importante è che non ci siano animali e piante inutili.
Un prato con l'erba alta è sinonimo di abbandono e lì dove tutto è lasciato a se stesso vige la Natura selvaggia. In città vale lo stesso principio: ogni angolo che non viene gestito è sinonimo di abbandono e spreco. Mi chiedo quale meccanismo culturale o etologico ci sia dietro a ciò...
Camminare nel centro di una città “pacificata” dalla selvatichezza è fonte di tranquillità, come lo è camminare dentro un orto ben curato rispetto ad un campo lasciato agli animali.
La differenza tra lo spazio addomesticato di una città e quello campestre è che nel primo gli elementi in gioco sono autoreferenziali, cioè sempre umani perché artificiali (strade, cartelli, palazzi, scale) mentre nel secondo c'è una relazione con altri tipi di esistenza rispetto a quella dell'uomo (piante, fonti d'acqua, animali, dislivelli del terreno). Entrambi però sono dei veri e propri spazi addomesticati.

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